Chinaglia, 10 anni senza Giorgio sono tanti e sono niente
Dieci anni senza Giorgio, perché c’era Giorgio e poi il resto. Tutto il resto e non è poco. Ma oltre i numeri, i record, le presenze, c’era Giorgio. Padre di tutti gli dei, Zeus dell’Olimpo (bianco)celeste. Chinaglia è stato tutto, perché è andato oltre l’immaginazione, incarnando i sogni più reconditi del tifoso, dando vita a una leggenda che dura ancora oggi e durerà per sempre, finché quell’ideale che è la Lazio si tramanderà di padre in figlio. Chinaglia è proprietà immanente all’essere laziale, perché al di là degli errori commessi, resta quanto fatto in campo, un oceano di sentimento generato in quei sette anni di campo in cui fu l’anima, la speranza, il grido di battaglia. Oggi, Giorgio, non avesse giocato nella Lazio, ma in altre squadre, sarebbe protagonista di film, romanzi, serie tv, speciali di qualche tv satellitare. Sarebbe un’icona nazionalpopolare, snaturata e annacquata, per renderlo digeribile anche a un pubblico dal visus limitato e troppo ipocrita per capire un personaggio che è sempre andato controcorrente, bastian contrario per indole, sfacciato e sfrontato da risultare odioso a chi non l’aveva dalla sua parte. Fu massacrato per il “vaffa” a Valcareggi, massacrato come altri idoli biancocelesti in nazionale come Signori e Immobile.
La Lazio e la nazionale di calcio. Mondi lontani che forse non si toccheranno mai. Una è il conformismo, il convenzionalismo dell’essere tutti amici e fratelli solo quando scatta(va) un Mondiale o un Europeo; l’altra è l’autonomia di pensiero, l’originalità, l’indipendenza di essere ciò che si vuole, dell’essere fuori dal branco in una città dove altri (tanti) vorrebbero imporre il pensiero unico del romanismo, dove s’è sdoganato il falso storico che romano è romanista, sfruttando fiction ciarliere, film dei Vanzina e altri simili espedienti. Chinaglia aveva capito subito, forse in anticipo, come girava il mondo a Roma e non solo. Per questo s’era caricato la Lazio sulle spalle, l’aveva portata fuori da una sorta di angolo in cui era stata relegata, per farla diventare una realtà imperante in città. Era un eroe laziale Giorgio, si era conquistato l’amore del suo popolo grazie alla sua personalità, ai suoi gol, al suo essere sempre pronto a essere leader. Più di ogni altro giocatore, lui, ha riempito lo spirito dei laziali di orgoglio e fierezza, ha consentito alla sua generazione di andare in giro per Roma non solo a testa alta, ma anche con sguardo indomito e ghigno irriverente. Come il suo quando sfidava l’avversario, con forza indomita, senza mai mostrare timore, paura. Dieci anni senza Long John sono tanti, ma sono niente, perché sembra banale, trito e ritrito, ma uno come lui davvero non se ne va mai. Lui è lì, in cima al nostro Olimpo. Padre di di tutti gli dei della S.S. Lazio.
Pubblicato 01/04 ore 00.00