Lazio, Lotito e il precedente con D’Onofrio. Ma la faida è con Taccone...
Una faida irpina, una guerra con protagonisti Walter Taccone e la Procura di Avellino guidata, al momento, da Vincenzo d’Onofrio. Perché “al momento”? Perché D’Onofrio ha preso il posto di Rosario Cantelmo - di cui era uno dei sostituti procuratore - andato in pensione pochi mesi fa, ed è solo uno dei candidati a prendere ufficialmente in mano la guida della Procura avellinese. Con lui in lista ci sarebbero anche Sergio Amato e Francesco Soviero. Ma torniamo alla faida tutta campana tra Taccone e D’Onofrio. Parte da lontano, dal 2016, quando la Procura ottiene il sequestro di beni per 850 mila euro poiché, secondo le accuse rivolte a Taccone, “per diversi anni ha omesso il versamento dei contributi dei dipendenti della Casa di Cura “Santa Rita” di cui è proprietario”. Siamo al 19 aprile di quattro anni fa, dopo circa dieci giorni arriva il dissequestro per ordine del Tribunale del Riesame di Avellino. Ma non finisce qui, la vicenda va avanti, la Procura continua le sue indagini e arrivano altre accuse nei confronti di Taccone che, all'epoca dei fatti, è pure proprietario dell’Avellino calcio. Secondo gli inquirenti, c’è molto materiale sospetto nei conti del club che intanto, nel luglio 2018, viene escluso dal campionato di Serie B a causa del mancato rispetto dei termini di consegna della fideiussione. La Procura accusa Taccone di contratti gonfiati per i fornitori, fatture rilasciate per operazioni mai esistite e sponsorizzazioni sospette. L’indagine, guidata da D’Onofrio, si chiude a metà settembre 2020, ora bisognerà attendere per capire se gli accusati verranno rinviati a giudizio. Anche in questo filone d’indagine beni per oltre quattro milioni di euro erano stati sequestrati a Taccone, salvo poi cambiare con la nuova sentenza del Tribunale del Riesame di Avellino che disponeva il dissequestro di circa il 60% dei beni.
LOTITO E D'ONOFRIO - Ora il caos tamponi. La Procura Figc indaga sulla Lazio e sul rispetto del protocollo anti-covid e dopo pochi giorni ecco che comincia a muoversi anche la Procura d’Avellino. Già perché i tamponi biancocelesti vengono analizzati da “Futura Diagnostica”, che fa riferimento alla famiglia Taccone e ha sede nel capoluogo irpino. Taccone si sente un perseguitato, nell’intervista rilasciata lunedì a Radio Punto Nuovo aveva sbottato: “Chi ce l'ha con me? Qualcuno nella Procura di Avellino è contento di vedermi sui giornali”, il riferimento, nemmeno troppo velato, sembra proprio a D’Onofrio che da quattro anni insegue le presunte irregolarità dell’imprenditore. Ma il nome di D’Onofrio è “storicamente” collegato anche a Claudio Lotito. I fatti in questo caso risalgono al 2015, prima dell’inizio della faida tra Taccone e la Procura di Avellino. D’Onofrio è sostituto procuratore a Napoli, agli ordini dell’”aggiunto” Vincenzo Piscitelli, e insieme avviano e coordinano un’indagine nei confronti del presidente della Lazio. Lotito, come oggi, era anche patron della Salernitana, militante però in quella che allora era la Lega Pro. Tutto nasce dalla famosa telefonata tra il patron e Pino Iodice, dg dell’Ischia, in cui il primo diceva: “Ho detto ad Abodi: se me porti su il Carpi...se me porti squadre che non valgono un c... noi tra due o tre anni non c’abbiamo più una lira. Se c’abbiamo Frosinone, Latina, chi li compra i diritti?”. Iodice denuncia la telefonata e le pressioni ricevute - secondo lui - da Lotito per appoggiare il presidente della Lega Pro Mario Macalli. La Procura si muove ed è convinta che Lotito volesse costringere alcuni dirigenti di Lega Pro ad approvare il bilancio consuntivo 2014, tassello di una più ampia strategia volta ad acquisire una posizione di forza sia nell’ambito della Figc sia nella Lega di serie A che in quelle minori. L’indagine fu poi archiviata. Nulla di fatto. Anche allora, corsi e ricorsi storici, la Gazzetta, con un editoriale dell’allora direttore, Andrea Monti, invocava la cacciata di Lotito da consigliere Figc: “L’anagramma di Lotito è “titolo”. Infatti quando parla in pubblico o al cellulare, un titolo ai giornali lo dà sempre. Per questo - ma solo per questo - pure noi che lo sopportiamo a fatica proviamo nei suoi confronti una profonda gratitudine. E’ quindi con animo dolente e cuore affranto che proprio nel giorno di San Valentino tocca affrontare l’argomento del distacco”. Insomma un’ammissione di come Lotito, nella redazione della rosea, non sia mai piaciuto.
IL CASO MANTOVANI - Le ruggini, insomma, sono con Taccone, ma pure con Lotito. Un fatto non è stato riportato dai giornali nelle scorse ore. Giovedì 5 novembre, la Salernitana è in ritiro a Ferrara, l’indomani giocherà l’anticipo di Serie B contro la Spal (poi perso 2-0). Sono circa le 23.30, quando due agenti di polizia si recano nell’hotel in cui risiede la squadra granata, chiedono di vedere il difensore Valerio Mantovani. Ma facciamo un passo indietro. Mantovani passa, questa estate, alcuni giorni in Sardegna e contrae il Covid. Per fortuna non c’è nessuna conseguenza seria a livello di salute, ma il giocatore deve rispettare un periodo di quarantena e lo rispetta scrupolosamente a Salerno (seppur residente a Roma) e dal quale esce dopo circa un mese, a ottobre, dopo due tamponi negativi che certificano la guarigione. Torniamo a giovedì. Gli agenti chiedono certificazioni e documenti. Ma su cosa? Il sospetto di chi aveva inviato gli agenti era che Mantovani fosse uscito dalla quarantena senza autorizzazione. I documenti dicono il contrario. Mantovani è perfettamente in regola. Secondo indiscrezioni, sarebbe stata la Asl Roma 1 a inviare gli agenti perché all’azienda sanitaria locale non risultava la revoca della quarantena. Sospetta, però, è la tempistica. Perché proprio ora? Dopo diverse settimane dalla guarigione del giocatore? Perché a notte fonda prima di una partita? Chi ha allertato la Asl? Forse la Procura di Avellino? Non si sa. Ma qualche domanda sorge spontanea.
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Pubblicato il 10/11 alle ore 15:35