Leggende del passato, anche la Lazio reclama il suo dirigente-emblema

Madrid, 7 luglio 2009, il Bernabeu si riempie, è il giorno della presentazione di Cristiano Ronaldo. Pomeriggio speciale per il versante “blanco” della Capitale spagnola, ancor di più perché ad introdurre il fuoriclasse portoghese, oltre al Presidente Florentino Perez, ci pensa un certo Alfredo Di Stefano: bandiera, monumento, simbolo delle merengues e di un calcio di altri tempi. L’argentino, ormai 85enne, rappresenta il Real Madrid, è il Madrid. La società che ha vinto più Coppe dei Campioni/Champions League della storia del calcio, una squadra che ovunque metta piede, viene accolta con grande fervore. Lasciamo la Spagna e approdiamo da chi ha inventato il calcio, l’Inghilterra, nel versante più vincente di Manchester dove lo United di Sir Alex Ferguson può contare su Bobby Charlton per il ruolo di dirigente, sopravvissuto dei “Busby Babes”, una squadra giovane ma incredibilmente forte e sfortunata al tempo stesso (morirono 23 giocatori nell’incidente aereo del ‘58, si salvarono Charlton e l’allenatore Matt Busby). L’ex attaccante dei Red Devils è stato fino a poco tempo fa il giocatore con più presenze nella storia del Manchester (758) prima di dover cedere lo scettro di numero uno a Ryan Giggs (ad oggi 868, un’enormità). Se parliamo di casa nostra, l’Italia e in particolare dell’Inter, fino a qualche anno fa potevamo assistere all’austera figura di Giacinto Facchetti, ex giocatore, dirigente e Presidente dei nerazzurri. I grandi club, hanno da sempre al loro interno coloro che in passato hanno lottato e sudato per la maglia che indossavano. Perché la Lazio non ha una figura del genere a rappresentarla? Non avrà una bacheca di trofei all’altezza delle squadre sopracitate ma questa non è una motivazione plausibile per chi vive da ben 111 anni. Tanti uomini hanno portato in alto l’aquila che vestivano sul petto: il candidato numero uno a ricoprire il ruolo di simbolo biancoceleste era Bob Lovati, la Lazio in persona, così era stato definito, ricordando uno striscione esposto dai tifosi il giorno del suo funerale: “Si scrive Lovati, si legge Lazio”, niente di più veritiero. Ma adesso il grandissimo Bob non c’è più, lui che aveva il diritto di affiancare Hernanes quando è stato presentato a Formello o lo stesso Zàrate qualche anno fa, un modo per far arrivare il seguente messaggio: “ La storia della Lazio sta accogliendo, in quel preciso istante, quel determinato giocatore”. Ad oggi manca una figura del genere, un dirigente-emblema, un Felice Pulici dei tempi di Cragnotti… Già, magari proprio il portierone dello scudetto del ’74 potrebbe rappresentare oggi la prima squadra della Capitale, con la sua personalità e pregevole dialettica, con lo stile e la compostezza di un calcio di altri tempi. Per non parlare di Pino Wilson, il “Capitano” dall’eleganza d’oltre Manica oppure Dino Zoff che, anche se non ha mai vestito da giocatore la casacca della Lazio, rappresenta comunque un pezzo di storia biancoceleste, una pietra miliare. I candidati ci sono, basterà trovare la volontà di rendere partecipi, nella Lazio attuale, le leggende del passato.