L'infortunio, la droga, ora una vita da barbone: l'ex Lazio Maurizio Schillaci racconta la sua storia

11.10.2013 20:45 di  Lalaziosiamonoi Redazione   vedi letture
Fonte: Laura Castellani - Lalaziosiamonoi.it
L'infortunio, la droga, ora una vita da barbone: l'ex Lazio Maurizio Schillaci racconta la sua storia
© foto di siciliainformazioni.com

“Tutti dicevano che ero più forte di lui. Può essere. Di sicuro io non ho avuto la sua fortuna”. Le parole amare di Maurizio Schillaci, cugino del più famoso Totò. Una promessa del calcio, fece innamorare Zeman, che lo volle proprio nel Licata degli anni '80 in cui esordì come allenatore. Poi il trasferimento alla Lazio nel 1986, un'infortunio mai curato, la rapida discesa: perdere tutto, gli affetti, la casa, colmare i vuoti con la cocaina, poi l'eroina. Schillaci racconta la sua vita ai microfoni di SiciliaInformazioni.com, quando tutti sembra si siano dimenticati di lui: “Ero sul punto di esplodere. Poi sul più bello sono passato dalle stelle alle stalle. Le mie stagioni migliori le ho vissute in B con Zeman. Segnavo gol a ripetizione. Poi è arrivata la Lazio. Era il mio periodo di grazia. Vivevo nel lusso, ho cambiato 38 auto, ho giocato nello stadio dei sogni, l’Olimpico. Contratto di 500 milioni per 4 anni. Poi qualcosa non va per il verso giusto. I primi infortuni, gli stop. Poi scopro perché. Vado in prestito a Messina, là trovo mio cugino Totò". Quel cugino che presto diventerà famoso in tutto il mondo, con cui si instaura quasi un rapporto di competizione: "Tutti i giornali parlavano di noi, io e lui facevamo a gara a chi segnava di più. Ma la mia carriera in realtà s’è spezzata a Roma. Un infortunio mai curato che mi impediva di esprimermi al meglio. Facevo poche partite e mi fermavo. Mi chiamavano il “malato immaginario” o il “calciatore misterioso”, perché ero sempre in infermeria. In realtà avevo un tendine bucato. A Messina si accorgono del problema, mi curano, ma la carriera era ormai volata via. Poi ho subito altre situazioni. Più brutte degli infortuni. Vado alla Juve Stabia, ormai ho 33 anni. E qui conosco la droga. La cocaina, poi l’eroina. Nel frattempo ho divorziato da mia moglie”. Quel cugino fortunato, che nei mondiali disputati in Italia nel '90 si laureò capocannoniere: “Ero contento per lui. A me non cambiava nulla sinceramente. Con Totò non ci sentiamo più. Ho lavorato nella sua scuola calcio per un periodo, ma per “travagghiare” là spendevo 300 mila lire e guadagnavo la stessa cifra. Ho deciso di mollare. In realtà pago le conseguenze della droga. Sentivo sempre le stesse storie: ‘Non porto mio figlio a uno che s’è fatto di eroina’. Io però non mi drogo più. E la gente che giudica mi fa male, perché non conosce la mia storia. Stavo malissimo, la droga ti lascia il marchio. Ho perso tutti i contatti con il mondo del calcio". La droga, e poi il baratro della solitudine forzata, quando ormai porti addosso una nomea le facili conclusioni delle persone non danno scampo né seconde opportunità: "Quando giocavo erano tutti amici. Ora non c’è più nessuno. Ho toccato il fondo quando ho capito che la mia carriera stava per finire. Zeman? Ogni tanto lo intravedo. Lui mi adorava, quando stavo a posto. Mi volle portare a Foggia, avevo già firmato. Sarebbe stata la svolta della mia carriera. Adesso del calcio non me ne frega più niente”Schillaci continua il suo racconto, parlando di doping e calcioscommesse: "La droga è arrivata quando ormai ero un ex calciatore. Il doping? C’è stato sempre. Zeman è stato il primo a parlarne, poi non l’hanno fatto allenare per anni. A me consigliavano di prendere la creatina, mi sono fidato dei medici. Era proibita, ma l’ho saputo dopo. Soldi per aggiustare le partite? Solo una volta me li hanno proposti. Giocavo nel Licata, a Casarano, lo dissi subito a Zeman. Mi disse di rifiutare. Poi finì 0-0, prendemmo 8 pali… Ma a volte le partite si decidono in mezzo al campo, parlando…”. Della sua esperienza nel mondo del calcio resta una manciata di ricordi, ma Maurizio Schillaci guarda al futuro con speranza e  voglia di rimettere insieme i pezzi della sua vita: "L’eroina per me non esiste più. Ho toccato il fondo ma ora voglio risalire. Ogni tanto guardo i bambini giocare in mezzo alla strada. Li osservo e mi piacerebbe dare un calcio a quel pallone..”.