GARBAGE TIME- Mark Dittgen, el jardinero del Barbera

Eccoci qui, garbage time. In che senso? Direbbe il perplesso Mimmo (Carlo Verdone, ndr) a sua nonna, la compianta Sora Lella. "Garbage time" è un’espressione tipicamente americana, abusata nel mondo del basket Nba: indicasi una determinata fase di gioco, spesso il quarto periodo, di una partita dal risultato scontato, del tipo 122-74. Quando non resta nulla da vincere, né da perdere, gli allenatori raschiano il fondo del “pino”, della panchina, a caccia dello sbarbatello del ghetto o della pertica lituana che non solleva i piedi dal parquet. Si chiama garbage time, letteralmente “il tempo della spazzatura”, non suona come una melodia ninfea, ma il concetto è chiaro. Questo spazio prende spunto proprio da questa espressione per trattare uno degli aspetti più affascinanti del calcio: il bidone. Il campo semantico è sempre lo stesso, noi tuttavia siamo ben più mordaci degli americani della palla a spicchi: loro hanno comunque i top player strapagati e non hanno problemi a pagare un ragazzino incapace per far numero in allenamento, noi spendiamo a fatica tanti soldi per un presunto talento, che si rivela poi uno (di)sgraziato. Ogni domenica proporremo un genio incompreso del calcio italiano, che ha militato nella squadra che andrà ad affrontare la Lazio. Ce ne sono tanti, nel ventennio 90-00 i soldi giravano ed esistevano personaggi come Luciano Gaucci ad alimentare la fama di garbage. Ogni riferimento a fatti e persone non è puramente casuale, ma è assolutamente amichevole, diritto di cronaca e di…satira calcistica. Benvenuti a Bidonville: un viaggio attraverso i personaggi più bizzarri dell’ultimo ventennio (e oltre), tutti protagonisti di un immenso garbage time.
LITI IN FAMIGLIA - Signora Dittgen: “Mark, hai potato le rose?. ” Signor Dittgen: “Amore, questa vita mi distrugge”. Niente Gocciole per Mark Dittgen, solo le sgambate extra agli ordini di Ignazio Arcoleo. Uno spilungone di 190 cm deve dominare nel gioco aereo, così parlo il mister che lo costringeva a strazianti sedute per lavorare su determinati difetti. Dato che i problemini sono molteplici, si narra di sessioni notturne. Signora Dittgen: “Mi tradisci?”. Signor Ditggen: ”Amore, questa vita mi distrugge, il mister mi spreme, è un vero…tedesco”. Mark parlava alla moglie con il cuore in mano, in quella sciagurata annata palermitana aveva bisogno di un sostegno morale, per non sprofondare nella poco nota saudade dei crucchi. Mostrava i segni della fatica alla bella moglie, se lei avesse avuto qualche infarinatura sul giuoco, avrebbe compreso il ragionamento di Arcoleo e le difficoltà del marito.
DITTGEN CHI? - Mark Dittgen nasce in Germania il 19 agosto 1974 e, nonostante sia già alto 170 cm al nido, i genitori pensano bene di iscriverlo a scuola calcio. Negli anni in cui un tale di nome Dirk Nowitzki bucava le prime retine in quel di Wurzburg, Mark tirava i primi calci ad un pallone nella ridente Puttlingen. Non è una parolaccia, né un’abitudine del sabato sera, immaginatevelo come una sorta di Ostiamare. Il piccolo Mark dunque cresceva con il mito di Ulf Kirsten e di Sylvester Stallone in “Fuga per la vittoria”, che sogno piegare i guanti del portiere galeotto. Il Kaiserslautern campione di Germania si accorge delle sue doti e lo aggrega in gruppo, lui risponde con qualche discreta prestazione in amichevole. Tre annate con i Diavoli Rossi, quattro presenze, prego voltare pagina. E’ il turno della Dinamo Dresda, compagine storica degli anni ’80, svanita nel nulla: tre reti e qualche buona giocata, che il calcio sia davvero il suo sport? Nel 1995 tenta la fortuna, non Oltreoceano ma nella terra degli orologi e del Petkocalcio: la Svizzera. Dittgen si accasa allo Young Boys, in un campionato dominato dalla classe di quel ragazzotto bosniaco che fa faville a Bellinzona e che quindici anni dopo finirà sulla panchina biancoceleste: in due stagioni Mark timbra il cartellino per nove volte, sufficiente al Palermo per tesserarlo nel 1997.
CRUCCHI & ARANCINI - Non era il Palermo, di Luca Toni, non era il Palermo di Amauri, né quello di Pastore. Era il Palermo di Giampiero Pocetta, attuale agente di Amauri e del “nostro” Ceccarelli tra i tanti. C’era Frederic Massara, idolo incontrastato tra Palermo e Andria ed attuale osservatore della Roma in terra sudamericana, più qualche ottimo elemento come Onofrio Barone, Adriano Bonaiuti e un giovanissimo Gianluca Triuzzi. Erano gli anni bui della Serie C, il presidente era Giovanni Ferrara. Arcoleo sostituisce Rumignani a stagione in corso. In quella realtà poco edificante, Mark colleziona 2 reti in 21 presenze, oscurato dall’esplosione di Triuzzi, dalla costanza di Massara e autolimitato da una tecnica non proprio di prim’ordine. E pensare che il Kaiserslautern lo considerava un craque. A gennaio tuttavia ecco il fulmine a ciel sereno, l’acuto stile Cugini di Campagna: il crucco che si desta improvvisamente dal letargo, fa capolino, azzanna la preda e rientra definitivamente nella tana. Ottavi di finale della Coppa Serie C, derby sentitissimo con l’Atletico Catania: a Mark il significato di derby era ben chiaro. Nonostante le sessioni extra di mister Arcoleo non avessero sortito alcun effetto, i tifosi erano stati piuttosto precisi sulle loro volontà in una partita del genere. Impercettibili sfumature, se stecchi pure nel derby ti mangiamo con i crauti. Mark scatta sull’attenti, e regola gli odiati cugini con una fucilata pazzesca, degna proprio del miglior Kirsten. Il Palermo passa il turno, la città lo porta in festa. Stop, Snorlax torna a dormire, fine della favola. Stagione disastrosa, i rosanero terminano il campionato in quattordicesima posizione e non sprofondano in C2 solo grazie alle inadempienze economiche dell’Ischia Isolaverde. Raccomandata con ricevuta di ritorno, destinazione Lipsia: la ribattezzano la battaglia di Lipsia, Napoleone si rivolta nella tomba, Arcoleo si rivolta nel letto. “Dottore, ricorre sempre nei miei sogni, sta ad un metro dalla linea e non riesce a colpire la palla, è grave?”
POSTUMI - Fin qui tutto regolare: i tifosi non lo possono vedere, ma con amicizia. Finchè il San Gallo non canta tre volte. Gli svizzeri si impuntano infatti con il patron Ferrara, reo di non aver corrisposto una cifra di circa 800 milioni di lire per il trasferimento. La FIFA si interessa del caso e multa la società siciliana: vietato acquistare stranieri per due anni, questa l’amara sentenza. Dopo Ferrara arriva Franco Sensi alla presidenza, abile ad escogitare un piano per aggirare il divieto: li tessera per l’altra squadra in suo possesso, la Roma (il conflitto d’interessi sembrava turpiloquio), per poi smistarli in Sicilia. Quando Maurizio Zamparini subentra al proprietario marchigiano, paga il debito al San Gallo e quelli del caro vecchio Franco.
EL JARDINERO - Le antiche rose andavano portate in salvo. La moglie, stimata pollice verde, insiste con Mark per potare quelle rose sofferenti. Lui è stanco, distrutto, allenarsi nel gioco aereo con Arcoleo non è più simpatico dei gradoni del boemo. Mark impugna le cesoie, indossa i guanti e pota le rose del giardino della sua villa di Mondello. Per cause ancora da accertare, Mark si getta in tuffo nel cespuglio saturo di aculeo, forse imitando i colpi di testa acrobatici provati con il mister. Una spina lo centra in pieno nell’occhio, infiammazione della cornea, ma pericolo scampato. Rischiava di perdere la vista, i tifosi si interrogano sulle cause del misterioso infortunio. Lui girava con una benda all’occhio, la verità uscirà allo scoperto con il tempo.
Non è un pirata, non è Ulf Kirsten: è Mark Dittgen, El Jardinero del Barbera. Niente a che vedere con Julio Cruz, una domanda sorge spontanea: se avesse seguito le orme di Dirk? Forse si sarebbe punto con un cactus nei deserti attorno a Dallas…