ESCLUSIVA - Calisti: "La mia Lazio degli anni '80, che ricordi! Ecco cosa serve per puntare allo scudetto" - VIDEO
Tre stagioni in maglia biancoceleste, per un totale di 48 presenze e 1 gol. Romano di nascita cresciuto nel settore giovanile della sua squadra del cuore, gioca come tornante di fascia mostrando grandi capacità atletiche e tecniche. Doti che lo portano ad entrare nel giro della Nazionale Under 21 e a esser indicato come un giovane di sicura prospettiva. Ciò che più salta all'occhio è però il suo grande temperamento, la capacità di lottare, di soffrire in campo. Sarà proprio quel suo cuore immenso a condizionare la sua carriera. Il 27 aprile 1986, infatti, nel tentativo di salvare un gol sulla linea contro il Monza, si rompe il ginocchio in ricaduta e resta fermo quasi due anni, proprio a ridosso di una delle stagioni più significative della storia laziale: quella del meno nove. Del suo passato, ma anche della Lazio del presente, di tattica e tanto altro ha parlato Ernesto Calisti ai ragazzi del 3° Corso di Informazione Sportiva della Lalaziosiamonoi.it.
Lei ha giocato in una Lazio che sulla carta appariva competitiva, composta anche da grandi giocatori come Batista e Laudrup. Non pensa che mancasse un mister che riuscisse a trovare la giusta alchimia, come sta facendo mister Pioli?
"Fu un'annata difficile, in squadra avevamo tanti grandi giocatori come Torrisi e Orsi in porta. Ma andò male. In quell'anno fu esonerato Carosi e venne Lorenzo, l'argentino, un allenatore capace ma un po' fuori dalla realtà. Al di là del fatto che serviva un allenatore diverso, in quell'annata ci fu anche tanta sfortuna: fu una stagione maledetta con partite perse anche per errori stupidi. Sicuramente con un allenatore diverso avremmo salvato il campionato, ma fu davvero un anno tanto tanto sfortunato".
Una data significativa: 27 aprile 1986, si giocava Lazio-Monza e lei subì un grave infortunio al ginocchio. Innanzitutto che cosa ricorda di quel momento, quali sono state le sue emozioni e sensazioni? E quanto questo infortunio ha condizionato la sua carriera?
"Non dimenticherò mai quel giorno: mi è caduto il mondo addosso. Cadere e vedere il ginocchio che si piega in modo innaturale ti fa capire che qualcosa di brutto è successo. Ha inciso molto sulla mia carriera perché in quel momento ero uno dei giovani migliori del campionato italiano, rimanere fermo per quasi 2 anni ha complicato un po' le cose. Qualcuno mi dava per spacciato, qualcun altro addirittura diceva che non avrei ripreso a giocare. Invece con tanto sacrificio e tanto lavoro ce l'ho fatta. Sono tornato a lavorare a livelli alti, però indubbiamente avrei potuto fare molto di più: mi ha precluso la Nazionale maggiore e qualche altra squadra di livello importante".
Durante la sua carriera ha avuto modo di confrontarsi con tantissimi campioni, durante il campionato 1984-1985 ha marcato anche Maradona. Cosa ricorda di quel confronto?
"Ѐ stata una giornata importante per me: giocavo nella Lazio in Serie A, ma venivo da un campionato in Serie B con la Cavese. Feci l'esordio in Seria A ad Ascoli, poi, non ricordo se la successiva o qualche partita dopo, ci fu il Napoli di Maradona. Inizialmente era marcato da Fonte; io ero seduto in panchina a parlare con i miei compagni. Si alzò l'allenatore e mi disse: 'Lei si alzi e marchi Maradona!'. Come a dire vai a marcare il primo che ti capita. Un attimo di emozione, poi andai in campo e, per fortuna, lo marcai benissimo. Credo che quello sia stato il giorno più bello della mia carriera: da lì diventai titolare e giocai sempre".
Se avesse la possibilità di giocare oggi, chi avrebbe piacere di marcare?
"Per chi ero io e per il fatto che la mia caratteristica migliore era la velocità, mi piacerebbe marcare Cristiano Ronaldo".
Rispetto al periodo in cui ha giocato lei, le difese di oggi sono generalmente più perforabili. Come se lo spiega?
"C'è una piccola differenza: oggi non sanno marcare, una volta si sapeva marcare. Basti pensare che sulle palle inattive ci sono delle marcatura a zona e non a uomo. Si sente spesso dire che oggi è cambiato tutto, è un grande malinteso. Marcare a zona significa comunque marcare l'uomo che è nella tua zona, è comunque un uno contro uno. Oggi gli attaccanti sono molto forti mentre i difensori non sono forti come quelli di una volta. Basti pensare che fino agli anni '90 pochi attaccanti andavano in doppia cifra, mentre oggi ci riescono in molti".
Lei ha vissuto anni particolari, anni di Serie B ma con molto attaccamento alla maglia. Cosa rappresenta questo per un giocatore romano come lei?
"Il famoso senso di appartenenza, sia dalla parte dei giocatori, sia dalla parte dei tifosi. Era un calcio diverso, uomini diversi. Oggi, secondo me, ci sono troppi soldi e troppo business e si sono un po' persi quei valori che una volta la facevano da padrona".
Pur non avendola vissuta da protagonista, a causa dell’infortunio, lei fece parte della Lazio del -9. Quali sono i suoi ricordi di una delle stagioni che più è rimasta impressa nel cuore dei tifosi laziali, caratterizzata dalla penalizzazione, dal gol storico di Fiorini e dagli spareggi contro Taranto e Campobasso? Che effetto le fa rivedere la maglia con l’aquila stilizzata indossata dai giocatori di oggi?
"Personalmente non sono ricordi bellissimi poiché rientrando dall’infortunio al ginocchio ebbi una ricaduta. Mi dovettero rioperare per togliere una calcificazione e dovetti ricominciare tutto da capo. Per quanto riguarda il gruppo ho un bellissimo ricordo di una squadra forte, fatta da uomini veri che, seppur giocando per una società in difficoltà, si tirarono su le maniche conquistando la salvezza, guidati da un allenatore che non dimenticherò mai, mister Fascetti. Lo ritrovai anche al Verona dove vivemmo più o meno la stessa situazione: anche lì ci fu infatti il fallimento della società e giocammo quattro o cinque mesi senza ricevere lo stipendio. Ma l’icona di quella squadra è sicuramente Giuliano Fiorini che ricordo con grandissimo affetto. Lui, con il suo famoso gol, ridiede la forza a tutti".
Di mister Fascetti è celebre la frase: "Chi vuole, resti. Chi non se la sente, può andar via subito. Chi resta combatte fino alla fine". Cosa ha rappresentato per lei questo allenatore e cosa le ha dato a livello umano?
"Mister Fascetti è sempre stato uno dei miei allenatori preferiti. Io ho sempre detto di aver avuto due grandi allenatori: lui e Bagnoli. Due uomini molto simili, di poche parole ma con grandi valori. Come accennato prima con Fascetti, mi ritrovai al Verona dove, insieme ad altri ex laziali come Icardi e Acerbis, riuscimmo ad arrivare secondi in Serie B conquistando la promozione praticamente senza una società alle spalle. Fu una bella annata anche quella e Fascetti fece un’altra grande impresa".
Nell’anno in cui lei tornò dalla Cavese alla Lazio, ci fu la retrocessione in Serie B. Quale fu la sua sensazione e come reagì il popolo laziale?
"Dalla Primavera andai alla Cavese. Ero un giovane che giocava un calcio pulito, semplice. La B per me fu un campionato duro, ma anche una grande esperienza. Tornai alla Lazio in Serie A, tra molte aspettative, data la squadra formata da grandi campioni. Per me andò benissimo, ero molto giovane e feci un ottimo campionato, nonostante la mia età e la poca esperienza. Però a livello di collettivo fu una grande delusione, un duro colpo, inaspettato per noi e per tutta la tifoseria".
Spostando l'attenzione sulla Lazio di oggi, stiamo vivendo l'esplosione di una vera e propria stella come Felipe Anderson. Ritiene possa continuare così, o c'è anche il minimo rischio che possa seguire le orme di Zarate che dopo una stagione fantastica si è involuto?
"Non credo, Felipe Anderson è più forte di Zarate. Ha caratteristiche diverse e poi ha un altro carattere".
Secondo lei quanto manca alla Lazio per poter competere per lo scudetto o comunque rimanere in pianta stabile in zona Champions?
"Se pensiamo alla Lazio di oggi non manca moltissimo. Secondo me con due o tre ritocchi di ottimo livello può ambire al primo o al secondo posto. È chiaro che bisogna rimanere con i piedi per terra, lavorando molto e dando continuità ai risultati. Credo che la Lazio non debba smantellare questa squadra, ma debba eliminare il superfluo e andare a rinforzare lì dove c'è bisogno".
Lei era presente alla serata "Di Padre in Figlio" del 12 maggio 2014. Che effetto le ha fatto vedere uno stadio così pieno e che emozioni ha avuto?
"E' stata una grandissima emizione vedere lo stadio pieno, era una vita che non lo vedevo così. C'erano famiglie, bambini, era un ambiente sereno, come dovrebbe sempre essere d'altronde".
Lei ha giocato nella Lazio tra gli anni '80 e '90, cosa cambia con il passaggio dalla difesa con il libero alla difesa in linea?
"A livello tattico qualcosa è cambiato, ma già quando giocavo io non si giocava quasi più con il libero staccato. Il libero era quello che si staccava e andava in chiusura per sventare una situazione di pericolo. C'era però anche il rischio che tenesse in gioco un attaccante. In generale i difensori di una volta sapevano difendere, oggi ce ne sono pochi bravi, magari sanno impostare e sono bravi tecnicamente. Chiellini è un vero difensore, fortissimo, uno dei più forti al mondo. Tanti gol che vediamo ai nostri tempi, anche di pregevole fattura, sono frutto di errori dei singolo. Anni fa sarebbero stati evitati".
Negli ultimi anni in Italia stanno facendo la differenza le ali veloci, vedi Cerci lo scorso anno, Gervinho, Menez, Candreva. Qual è il miglior modo per affrontare questi giocatori?
"Si deve temporeggiare per prima cosa. Se sei un difensore veloce puoi anche tentare l'anticipo, ma se non sei velocissimo devi temporeggiare, aspettare il raddoppio del compagno e non dare profondità. Se dai campo a giocatori del genere sei finito".
Lei più che un terzino era un vero e proprio tornante di fascia, uno di quei giocatori capace di fare molto bene la fase difensiva e dare lo stesso apporto in fase offensiva. Si rivede oggi in qualche giocatore della Lazio o del presente?
"Noi eravamo molto più difensori di quelli di oggi. Faccio fatica a trovare un esterno che sappia difendere bene e attaccare, non perché abbia fatto chissà cosa, ma per le caratteristiche. Forse Chiellini, quando gioca esterno e non centrale, poteva essere per qualità e caratteristiche più vicino ai nostri tempi".
Sulla base delle prestazioni altalenanti di Radu, ritiene sia necessario quantomeno acquistare un altro terzino sinistro? E in caso punterebbe su ragazzi giovani come Hysaj e Sabelli o su un giocatore già fatto?
"Radu ha fatto dei buoni campionati, ma ultimamente mi sembra che abbia avuto un'involuzione dal punto di vista difensivo. In fase di spinta non è stato mai eccezionale, però ha sempre difeso molto bene. Mentre ultimamente ha avuto una grossa involuzione, ed è chiaro che lì qualcosa ci manca. Braafheid è un buon elemento ma alla Lazio serve un giocatore già fatto, pronto per puntare in alto".
Oggi i giovani italiani fanno sempre più fatica a emergere. E' una questione di poca fiducia concessa ai giovani oppure ci sono altre motivazioni?
"Viene automatica la risposta, ci sono troppi stranieri. Io in linea di massima la penso come Mancini, non sono molto d'accordo sulla convocazione degli oriundi in Nazionale. Sarò molto nazionalista, però a me piace vedere l’allenatore e i giocatori italiani, ecco perché si fa fatica poi a far crescere i nostri, perché ce ne sono tanti di stranieri. Negli anni '80 c’erano al massimo tre stranieri ed erano tutti forti: Zico, Falcao, Platini, Maradona, Junior, tutti giocatori fortissimi ma pochi. Oggi la minoranza è l’italiano, ed è chiaro che per i nostri giovani è difficile emergere. Per molti anni rimangono relegati in campionati minori e non riescono ad emergere, bisognerebbe cambiare qualcosa. Altrimenti i nostri talenti faranno sempre più fatica e avremo sempre più difficoltà a mettere su una nazionale competitiva".