Lazio illesa dopo la vicenda tamponi: che colpo per chi già festeggiava...
Ecco la sentenza, la prima del cosiddetto caso tamponi. Sette mesi di inibizione a Claudio Lotito, dodici per i medici Rodia e Pulcini e 150 mila euro di multa per la Lazio. Più lieve la condanna rispetto alle richieste dell’accusa. Il procuratore federale Chiné, infatti, aveva chiesto 200 mila euro di multa per il club, 13 mesi e 10 giorni di inibizione per Lotito e 16 mesi per i medici. Niente penalizzazione, niente retrocessione, niente fine della Lazio. Non era tutto vero, non c’era alcuno scandalo, la Lazio non ha messo in campo positivi e quindi la Lazio non è mai incorsa nell’illecito sportivo. Era solo folle pensarlo, figuriamoci se poteva essere stato fatto e provato. La sensazione, invece, sempre più forte di un atto di guerra verso Lotito. Un atto di guerra che gli avvocati biancocelesti hanno depotenziato e che punteranno a cancellare nei prossimi mesi arrivando - se necessario - fino al Collegio di Garanzia del Coni. Come prevedibile, la sentenza della corte Federale ha scatenato tutti coloro che erano pronti a banchettare sulla Lazio ferita, penalizzata. Coloro che stamattina s’erano svegliati pensando che i biancocelesti potessero essere tagliati fuori dalla corsa Champions o magari - ancor meglio - spediti all’inferno, magari in Serie B. Erano tronfi, pronti a gioire, a stappare le bottiglie messe in fresco. E invece… niente. "Spiace", come direbbe Inzaghi.
La Lazio ne esce illesa, nessun punto di penalizzazione e un’inibizione che non farà decadere Lotito dalla carica di consigliere federale. Una vittoria. Altroché. Una sconfitta, invece, per i censori di certo giornalismo, i giustizialisti che ignorando i fatti e basandosi su uno scandalo solo mediatico volevano la testa della Lazio. Ma che il cortocircuito fosse dietro l’angolo, che qualcosa non quadrasse, i censori l’avevano capito già nella tarda mattina di venerdì, quando era arrivata la richiesta del Procuratore Chiné: nessuna penalizzazione per il club e solo un’ammenda, più le inibizioni per Lotito e i medici sociali. E allora s’erano scatenati: sui social principalmente. Avanzando dubbi, velando dietro giochi di parole il concetto di “farsa”. Verrebbe da chiedere a lor signori, però, cosa sapessero della vicenda, se avessero studiato le carte. Logica dice che deve essere così se costoro si spingono a contestare prima le richieste dell’accusa e poi la sentenza di un tribunale. Ma se così non fosse? Siamo davvero di fronte a una fetta di giornalismo italiano che invoca la morte sportiva di un club senza conoscere la vicenda? Senza essere al corrente dei dettagli processuali, basando le loro "voglia di sangue” sulla pseudo inchiesta di un solo quotidiano? Siamo davvero a questo punto, a questo livello? L'alba di tutto questo, del resto, era nato da un bombardamento mediatico mai visto, da una guerra a mezzo stampa più unica che rara. S'era parlato di "farsa", di "scandalo", s'era messa in dubbio la lealtà di un club senza vere prove, senza aspettare le sentenze. Insomma non era quello certo un ottimo segnale sullo stato di salute del giornalismo sportivo (e non solo) italiano.
Non era cronaca quella, era un affronto, un'offensiva vera e propria. Quelle erano le premesse, quelle le basi su cui s'era costruito un castello poi rivelatosi di sabbia, spazzato via dalla prima onda bianca e celeste. La Lazio è bersaglio semplice e comodo da colpire, fa gola, ha un presidente antipatico, inviso a molti potenti del calcio italiano e sicuramente alla maggior parte delle redazioni, e quindi a chi manovra l'opinione. Altro che libertà, le guerre politiche si fanno soprattutto usando il quarto potere. Ma poi, alla fine, il tempo è galantuomo e sa rimettere a posto le cose, le persone e le parole. Ora si torni a pensare al campo. A quel campionato in cui la Lazio ancora può giocarsi alla grande i propri obiettivi. Quel campionato che, di questi tempi, un anno fa, alcuni volevano sospendere e cancellare: “per riprendere in sicurezza a settembre” e perché “pensare al calcio mentre la gente muore è vergognoso”. Oggi, con oltre 100mila vittime da Covid a pesare (non sulla loro coscienza) sulla storia di questo Paese, quell’esigenza non c’è più. La Lazio, del resto, non è mica seconda a -1 dalla prima…
Pubblicato il 26/03 alle 23.00