Gli sponsor di maglia che hanno generato più polemiche nel calcio italiano

Nel mondo del calcio, il fenomeno delle sponsorizzazioni ha avuto un impatto profondo e in grado di cambiare molto la visione degli accordi commerciali, sia nel recente passato che nel presente. Quando si parla di sponsor calcio non ci si riferisce solo a semplici accordi commerciali ma a uno snodo cruciale tra business, sport e cultura popolare. Le sponsorizzazioni, infatti, specialmente nel nostro Paese hanno spesso suscitato polemiche e discusso su vari fronti, soprattutto quando i marchi legati ai club sembravano andare oltre il mero valore economico, influenzando l'immagine e il senso di appartenenza delle squadre.
L’inizio: Lanerossi Vicenza e i primi passi verso lo sponsor
Uno dei primi episodi rilevanti nella storia degli sponsor per il calcio fu il caso del Lanerossi Vicenza, un precursore assoluto. Negli anni '50, la squadra si legò all’azienda tessile Rossi, e la famosa "R" rossa divenne parte integrante del loro stemma. Un cambiamento che per i tifosi e la squadra non rappresentava solo un legame commerciale ma qualcosa di più profondo: il marchio Lanerossi divenne parte dell’identità del club fino agli anni '90. Questo segna l’inizio di un fenomeno che avrebbe coinvolto sempre più aziende, attratte dal potenziale pubblicitario del calcio.
Gli escamotage degli anni '70: i casi di Udinese e Perugia
Negli anni '70, le prime vere sponsorizzazioni sulle maglie furono segnate da ingegnose manovre per aggirare i divieti federali. L’Udinese, sotto la guida di Teofilo Sanson, inserì il logo della sua azienda di gelati sui pantaloncini della squadra nel 1978, poiché il regolamento parlava solo delle maglie. Sebbene la FIGC intervenne rapidamente, l’esperimento dell’Udinese pose una prima pietra verso la liberalizzazione delle sponsorizzazioni.
Ancora più clamoroso fu il caso del Perugia. Franco D'Attoma, presidente del club umbro, ideò una strategia ancora più audace per finanziare l’ingaggio di Paolo Rossi. Nel 1979, creò un falso marchio di abbigliamento tecnico, Ponte Sportswear, collegato in realtà a un pastificio. Questo gli permise di aggirare le restrizioni federali e inserire il logo Ponte sulle maglie della squadra. Anche se la FIGC intervenne, il Perugia continuò a utilizzare il logo su tute e abbigliamento vario, dimostrando quanto il calcio stesse entrando nell’era delle sponsorizzazioni.
Le controversie degli anni su Napoli e Torino
Con la liberalizzazione delle sponsorizzazioni all’inizio degli anni '80, i marchi iniziarono a invadere le maglie di Serie A ma non tutte le operazioni furono ben accolte. Nel caso del Napoli, durante l'era Maradona, il primo sponsor fu Berna, una marca di prodotti caseari poco nota. Il logo non riuscì a conquistare i tifosi, che si aspettavano qualcosa di più importante per una squadra in ascesa. Solo con il successivo passaggio a Cirio, un marchio più affermato, la sponsorizzazione riuscì a trovare un'accoglienza migliore.
Un altro caso cronologicamente precedente che suscitò polemiche fu quello del Talmone Torino. Durante la stagione 1958-1959, la squadra si legò all'azienda dolciaria piemontese Talmone. Tuttavia, la stagione si rivelò disastrosa, culminando con la retrocessione della squadra granata, la prima della sua storia. L’associazione tra il fallimento sportivo e la sponsorizzazione spinse i dirigenti a rimuovere immediatamente il logo della "T" bianca dalle maglie.
Le implicazioni economiche e sociali
L’introduzione degli sponsor calcio ha portato benefici economici indiscutibili, permettendo a molte squadre di sopravvivere e competere a livelli più alti. Tuttavia, le sponsorizzazioni hanno anche sollevato questioni etiche e identitarie, con i tifosi che spesso si sono sentiti traditi da legami con aziende che sembravano distanti dai valori storici dei club. Questo ha portato a discussioni su quanto l’immagine di una squadra debba essere legata a interessi puramente commerciali.