Nessuna aggressione a Delfino, Fantauzzi rilancia: "Era solo uno sfottò, con lui eravamo amici... Adesso ci vedremo in tribunale"

L'episodio ha fatto clamore: ne hanno parlato tutti. Ci riferiamo alla colorita incursione di Marco Fantauzzi durante la radicronaca di Lazio-Napoli svolta, per Radio Rai, da Giulio Delfino. Si è parlato di aggressione, di Daspo, tutto è sfociato poi in alcuni "tweet" del giornalista che hanno fatto molto discutere. Ora a parlare è colui che, in questi giorni, è rimasto in silenzio. L'uomo finito nell'occhio del ciclone. Insomma quello che da molti è considerato l'aggressore. Marco Fantauzzi si sfoga ai microfoni di CalcioBlog.it e racconta particolari inaspettati.
Ciao Marco, descriviti brevemente, di cosa ti occupi nella vita e cosa è per te il calcio.
Ho 52 anni, sono sposato, ho una figlia. Sono laureato in economia e commercio e sono un piccolo imprenditore che oltre ad avere la passione per il calcio è impegnato nel sociale. Il calcio per me è un passatempo, è goliardia, è stare insieme agli amici
Raccontaci la tua versione dei fatti. Come mai ti trovavi lì, perché hai urlato nel microfono dei due radiocronisti?
Conosco da tanto tempo Delfino, abbiamo molti amici in comune e per me si è trattato di un semplice sfotto’ tra amici che si prendono in giro sulla Lazio e sulla Roma. Ci sono centinaia di sms tra me e lui… Sono rimasto basito quando, tornando a casa, ho letto il mio nome sui siti internet.
Quindi vi conoscete tu e Delfino? Vi “sfottete” spesso su questioni calcistiche in privato?
In quel sabato tutto nasce da quando lui mi comunica in privato che avrebbe fatto la radiocronaca di Lazio-Napoli e che “avrebbe voluto vedere la mia faccia da rosicone al termine della partita”. “Ti faccio una pernacchia a fine partita, in tribuna” mi disse. In cuor suo sperava anche in un risultato migliore della Roma a Lecce. A quel punto mi sono sentito leggermente provocato, poi era il giorno dell’ultimo saluto a Giorgio Chinaglia, c’era un pathos straordinario all’Olimpico e la mia frase è stata una esternazione innocua all’ “amico” Giulio Delfino. Io non gli ho strappato nessun microfono dalla mano, ho semplicemente urlato quella frase senza vessilli, né sciarpe, né segni di riconoscimento del mio tifo calcistico, ma il signor Delfino mi riconosce pubblicamente come “tifoso laziale” e rilascia subito interviste facendo il mio nome e cognome. Si lamenta degli steward che non fanno nulla per fermare “l’ aggressione premeditata”, ma evidentemente proprio perché non è successo nulla.
Ti ha proprio scosso il tuo nome e cognome messo in prima pagina subito dopo l’accaduto.
E’ una cosa che non mi aspettavo da una persona con cui andavo a cena insieme. Mi faccio una domanda: se un altro avesse urlato quella cosa al microfono l’ “integerrimo professionista” Delfino sarebbe passato anche in quel caso alle vie legali? Lui parla di aggressione premeditata? E la provocazione premeditata? A questo punto io mi devo tutelare legalmente e dovrò sottrarre del tempo al mio lavoro. E ‘ il lato negativo del calcio, succede anche questo.
In poche ore la tua incursione ha fatto il giro del web ed è stata ripresa anche da Striscia la Notizia. Ti infastidisce tutto questo clamore?
Ne avrei fatto volentieri a meno, sono rimasto esterrefatto. E’ stata un doccia fredda.
Vuoi mandare un messaggio al tuo amico (o ex amico)?
Ti avrei voluto incontrare in un ristorante, magari al “Caminetto” per prenderci in giro, oppure da “Giannino” a Milano, quando sei entrato per sfottermi perché la Lazio aveva appena perso contro l’Inter. Ciao Giulio, ci vediamo in tribunale, forse lì mi “riconoscerai” meglio.