ESCLUSIVA - Psicologia applicata al calcio, il prof. Cei: "Vi spiego come il ritiro può cambiare la Lazio"
Enzo Ferrari capì di aver preso la decisione giusta quando guardando il cronometro notò che la sua macchina aveva guadagnato ben 5 decimi. Il merito di quella miglioria era del pilota Niki Lauda e dell’ingegner Mauro Forghieri, che per giorni avevano lavorato sulle sospensioni. Il presidente della scuderia di Maranello aveva affidato il suo “gioiellino rosso” nelle mani di chi seppe ripagare la sua fiducia. Fu il primo a credere in ciò che Claudio Lotito avrebbe ribadito a circa quarant’anni di distanza: “Sono importanti il guidatore, la macchina e il meccanico”. E adesso che la Lazio – a detta del presidente biancoceleste – è “una Ferrari che viaggia a velocità ridotta” ha bisogno di essere migliorata. Nell’atteggiamento in primis. E il ritiro che la squadra sta svolgendo nel centro sportivo di Formello ha proprio questo scopo. La Lazio è dal meccanico e tutti, da Inzaghi al suo staff - passando per la squadra - hanno le mani sporche di grasso. Ma per capire in che modo possa verificarsi questo miglioramento abbiamo deciso di affidarci all’esperienza dello psicologo dello sport Alberto Cei, ex presidente della Società Italiana di Psicologia dello Sport e membro della Federazione Europea di Psicologia dello Sport.
Cosa scatta nella mente dei giocatori durante un ritiro?
"Ogni giocatore reagisce all’esperienza del ritiro in modo differente. Ovviamente un professionista sa che prestazioni insoddisfacenti dipendono da delle difficoltà che si possono riscontrare durante il corso della stagione. Queste flessioni sono spesso dovute a cali di motivazione e di concentrazione. I giocatori sanno valutare il proprio lavoro e quello della squadra in generale. Il ritiro può essere uno stimolo. Si mettono in luce le difficoltà esistenti per poterle superare".
Cinque giorni di ritiro possono fare la differenza?
"Certamente. Un periodo, anche breve, di riflessione può servire quando i problemi della squadra sono legati – come nel caso della Lazio – all’attenzione, all’impegno e all’unità del gruppo. Si può reimparare a lavorare insieme per ottenere la massima intensità e i migliori risultati. Sta in primis all’allenatore riuscire a capire dove si debba intervenire. Bisogna ragionare con gli atleti e fare in modo di ricreare un clima di gruppo positivo".
A detta di mister Inzaghi contro il Chievo la squadra avrebbe sbagliato approccio. Da cosa può dipendere?
"In generale da diversi fattori. Spesso in virtù delle prestazioni passate si inizia a credere che si possano vincere le partite con un impegno minore. Quindi si finisce con il peccare di scarsa intensità, sia del singolo che del gruppo. L’errore è credere che la tecnica e l’idea di qualche individuo possano poi salvare il risultato. In realtà è importante che l’intera squadra si impegni allo stesso modo e che ogni giocatore aiuti il compagno nel momento del bisogno. Anche nei minuti più critici la soluzione arriva solamente perché è il gruppo che insiste. Qui torno sull’importanza del ritiro, che permette ai giocatori di tornare a riflettere insieme sull’operato della squadra".
Cosa impedisce a una squadra come la Lazio di dare il massimo nelle partite più importanti della stagione?
"Talvolta c’è difficoltà nel mantenere una continuità di risultati nel tempo. Stanchezza e stress possono avere il loro peso. Anche l’abitudine può influire e di partita in partita si tende a perdere un atteggiamento propositivo e competitivo. Una grande squadra deve saper gestire mentalmente la fatica, gli imprevisti e gli infortuni che si accumulano durante la stagione. Nelle partite più importanti, poi, concentrarsi solo sul pensiero di dover vincere a tutti i costi non aiuta. Questo perché all’interno di un gruppo non tutti sanno gestire la pressione allo stesso modo. Può succedere magari che proprio i giocatori più importanti non riescano a farlo e che quindi a crollare sia l’intero gruppo. In questi casi bisogna imparare a rispondere a ogni evenienza cambiando atteggiamento nel corso della partita".
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