Simbolo di un impero, emblema di una tradizione: l'aquila è Roma

Un impero sconfinato, una Città centro di una civiltà che ha donato al mondo giurisprudenza, letteratura, arte e politica, un esercito imbattibile. Una figura divina a simboleggiare tutto questo: l’aquila, emblema di Roma. Un volo millenario quello del rapace, che ha attraversato tutte le civiltà illuminate, le più significative nella storia dell’evoluzione umana. Ma è con la cultura di Roma che il rapace diventa il simbolo di un popolo intero, l’emblema dell’Urbe che dominerà tutto il mondo allora conosciuto. “L’aquila è Roma, un simbolo del nostro onore, ovunque sia l’aquila possiamo dire Roma ha fatto questo”, così recita il film “The Eagle”, uscito recentemente. In effetti dalla Roma augustea in poi, cioè dal sorgere dell’impero, l’aquila d’oro ad ali spiegate la si trovava ovunque. Sulle colonne che abbellivano le strade e ornavano il foro, nella curia, nella residenza imperiale. Incisa sulle armature dei soldati e sui vessilli delle legioni, però, l’aquila aveva già fatto la sua comparsa molto tempo prima. Questo perché il volatile era considerato simbolo di potenza e prosperità, figura divina. Vedere l’aquila sovrastare le vie dell’Urbs dava all’antico romano il sentore della protezione di Giove. Non meravigli allora il canto VI del Paradiso dantesco, in cui Giustiniano racconta al Sommo Poeta tutta la storia di Roma, immaginata come il millenario volo dell’Uccel di Dio. L’aquila è Roma, lo si può affermare senza timore di smentite. Da sempre il rapace rappresenta l’Urbe più di ogni altro simbolo e solo chi ignora la storia di questa città può sostenere il contrario o lasciarsi andare a commenti, per così dire, superficiali. L’aquila è Roma e la Lazio è nata per Roma. Per questo, in quella mattina del 9 gennaio 1900, nove ragazzi romani e con una solida base di conoscenza, scelsero il rapace come simbolo della società che si apprestavano a fondare. Un sodalizio originatosi dall’ardore di nove ragazzi e dall’idea di dare a Roma una società autonoma, accessibile anche ai giovani del popolo. E’ nata libera la Lazio, libera e maestosa come l’aquila che fiera è stampata sul petto di ogni atleta che gareggia per la più antica e importante società sportiva della Capitale. Sotto le sue ali e da 111 anni, generazioni di tifosi biancocelesti si ritrovano e s’identificano. Una tradizione che si tramanda di padre in figlio, come nell’antica Roma si faceva con i grandi onori di cui si era fregiata una famiglia. La magia della Lazio è sentire un nonno che racconta al nipote, delle parate di Bob Lovati o dei gol di testa di Silvio Piola. Sentire un padre che in macchina, avvicinandosi allo stadio, narra al figlio delle reti nei derby di Chinaglia, delle geometrie di Cecco o delle chiusure di Wilson, fino ad arrivare alla gioia mista al dramma del gol di Fiorini. “Ma Klose è più forte di Chinaglia?” potrebbe rispondere un bambino affascinato da simili aneddoti. Il fascino irresistibile della Lazio è un fratello maggiore che inizia alla cultura dello stadio e della Nord il fratello minore: “Ero qui quando Veron ha segnato quella punizione al derby che ci ha proiettato verso lo scudetto”. La Lazio è vita, è una storia che si respira a Roma in luoghi simbolo e in tradizioni centenarie. Quel ritrovarsi ogni notte tra l’8 e il 9 gennaio a Piazza della Libertà è sintomo di appartenenza, vuol dire possedere una storia, riconoscere le proprie radici e le proprie origini. Un giovane che piange guardando un video su Maestrelli è la Lazio. Dal 1900, la tradizione va avanti e si proietta nel futuro, c’è la Lazio e ci sarà sempre. Come per Roma c’è sempre stata l’aquila suo emblema e simbolo di una squadra che dell’Urbe incarna storia e spirito elitario.