Luis Alberto e un calcio "vintage": gli esordi tra Cadice e Siviglia. E quel "diez" di Riquelme...

La rivista spagnola Panenka ha dedicato un lunghissimo articolo a Luis Alberto: "A Roma c'è qualcuno che si impegna perché Riquelme non sia l'ultimo genio irriverente. Il 10 della Lazio può esser considerato uno degli ultimi spiragli del calcio vintage". A Roma viene chiamato il "Mago" ma quando torna a San José del Valle, a 33 chilometri da Jerez, continua a essere il "Chavo". Lo sa bene Manuel Hidalgo, amico d'infanzia del centrocampista della Lazio: "Avevamo una rivalità storica con il quartiere di "La Cuesta". Ci siamo affrontati cento volte e in ogni partita, il Chavo faceva quattro o cinque gol allo stesso avversario. Era annoiato". A 15 anni, partecipò insieme ad alcuni amici a un torneo che si giocava nel paese vicino, Algar. Luis Alberto disputò quel campionato indossando delle Reebok classiche, regalate da un compagno di squadra. "Non aveva bisogno di altre cose per dimostrare che era qualcuno di speciale", continua la rivista. In occasione delle semifinali, sfidò una squadra di San Fernando che aveva giocatori di Segunda B e di Tercera. Continua Manuel: "Nel primo tempo segnò un gol da calcio di punizione. Poi s'arrabbiò e si tolse le scarpe perché ci avevano segnato due gol. Non erano passati nemmeno dieci secondi e se le stava già rimettendo perché avevo subito un fallo al limite dell'area. Abbiamo finito per vincere ai rigori".
Parola poi a Loli Alconchel, fratello di Luis Alberto, colui che si prendeva del tempo per portarlo da San José del Valle a Siviglia. 120 chilometri, cinque volte a settimana: "Tutto è successo grazie a mia madre, muoveva cielo e terra per lui. Se la partita si giocava a Cordoba, lei stava già lì. Tra fratelli ci mettevamo d'accordo per regalargli scarpini, pallone, guanti... Non chiedeva altri regali". Uno dei tanti rivenditori che portavi alimenti al negozio di Loli fu il primo che vide qualcosa di speciale in Luis. "Loli, perché non porti il bambino al Jerez?", disse. "La prima volta che lo vidi giocare con il Jerez la gara di giocò piovendo e il campo di terra era impraticabile. Rimasi incantato", commenta José Luis Calderon, il primo allenatore dello spagnolo al Siviglia, a cui furono sufficienti dieci minuti che capire che fosse davanti a un giocatore speciale. "Immediatamente chiamai Pablo Blanco e gli dissi che dovevamo tesserarlo". "Aveva 11 anni e già giocava con la testa alta, comandando il gioco. Lanciava e correggeva le posizioni dei suoi compagni", ricorda.
Il fratello ricorda di quel periodo: "La maggior parte delle volte faceva i compiti in macchina. Arrivava a casa esausto". Pablo Blanco, storico giocatore del Siviglia e coordinatore del settore giovanile, poi, spiega: "Luis Alberto fu uno dei primi che viveva nel residence nonostante fosse così piccolo". Fondamentale il ruolo dell'allenatore, che ogni due settimane parlava con lui: "Fisicamente sviluppò più tardi dei suoi compagni. Quell'anno fu il primo che trascorse fuori casa, non fu facile. Abbiamo dovuto rassicurarlo spesso, perché provò ad abbandonare un paio di volte". Ma il momento complicato non durò troppo, continua Blanco: "Real Madrid e Barcellona provarono a tesserarlo". Prosegue Calderon: "A volte i giocatori vogliono andare a un ritmo più rapido di quello che si aspetta il club. Lui voleva un posto assicurato in prima squadra e il Siviglia non poteva darglielo, per questo fu ceduto al Barcellona B". Da quel momento Luis Alberto ha vissuto numerose esperienze in altri club, ma Calderon non ha mai smesso di seguirlo: "Mantiene quella vivacità nello sguardo che aveva già quando era piccolo. La sua crescita è stata enorme, però ciò che lo differenziata rispetto al resto è ancora intatto e lo mostra in ogni match".
Pubblicato il 15/02