L'ANGOLO TATTICO di Cluj - Lazio - Senza la testa gli schemi non girano
È vero, questo è l'angolo tattico. Ma dopo aver assistito all'esordio europeo della Lazio, la sensazione è che parlando di schemi, moduli e movimenti senza palla si corra il rischio di trascurare qualcosa. E che questo qualcosa sia quantificabile in 45 minuti, più o meno. A separare il Paolo Mazza di Ferrara e lo Stadio Constantin Rădulescu di Cluj-Napoca ci sono all'incirca 1300 km, poco più di quattro giorni e qualche centinaia di migliaia di parole. Perché a conti fatti - e fino alle 19:37 di giovedì, quando Deac insacca il rigore dell'1-1 - la sconfitta della domenica precedente era da considerarsi un evento straordinario, di difficile comprensione e soprattutto irripetibile. Alle 20:50, invece, Cluj - Lazio ha assunto la forma di un déjà vu. Discutere di tattica, comunque, si può. Dan Petrescu è un abile trasformista, veste i suoi ragazzi con gli abiti del nemico e con il 3-5-2, o 5-3-2 che dir si voglia, crede di poter trarre in inganno una Lazio che il suo allenatore aveva preparato a tutt'altro schieramento. Ma non ha ragione. Inzaghi, al contrario, è dogmatico nel far suonare i biancocelesti usando sempre lo stesso spartito. Pur cambiando gli interpreti la sua squadra va a memoria, contro qualsiasi avversario e sistema di gioco, il vantaggio è proprio questo. E ciò che ne risulta è che la Lazio domina, non soffrendo minimamente il Cluj per 42'. Jony è un esterno ma fa da Luis Alberto - d'altronde anche il suo piede parla spagnolo - calamitando ogni pallone e dando inizio a tutte le azioni pericolose dei suoi. È lui il cervello del centrocampo. Al contempo Berisha in mezzo al campo prende simbolicamente il posto di Lulic, garantendo quantità e corsa in entrambe le fasi. Così i ruoli si invertono e il baricentro si sposta a sinistra, certo, ma funziona. Fino a 3 minuti dalla fine del primo tempo la partita è questa. E poi?
L'ANGOLO MENTALE - Un brivido, in realtà, aveva percorso la schiena di Inzaghi e dei 129 tifosi presenti a Cluj già un paio di minuti prima del vantaggio biancoceleste. Non era colpa del freddo. I romeni, nulli fino a quel momento, si rendono infatti pericolosi da calcio piazzato. La difesa della Lazio è disattenta e lascia che la palla attraversi tutta l'area, per poi salvarsi in affanno. È la prima amnesia, alla seconda sarà già troppo tardi. Che il rigore con cui i romeni pareggiano sia dubbio o meno, l'importante è se “arbitro fischia”, Boskov docet. Il problema viene dopo. La squadra accusa il colpo e su quel penalty si dissolve. Da lì è impossibile parlare d'altro che non sia la preoccupante assenza della Lazio per i restanti 45 minuti più bonus. L'ingresso di Cataldi, entrato per aiutare Jony nel ragionamento, non produce effetti nella landa arida nella quale si è trasformata la metà campo del Cluj. I suoi ragazzi brancolano nel buio, il 2-1 ne è conferma e pietra tombale dell'incontro. Inzaghi passa allora al 4-3-3 per l'assalto finale: Lulic e Lazzari completano la difesa con Acerbi e Vavro, il trio Mlinkovic-Leiva-Cataldi si posiziona alle spalle di Correa largo a sinistra, Adekanye a destra e Caicedo terminale centrale. È la mossa della disperazione, nulla più. Questa squadra sa giocare a calcio e fare male agli avversari, non lo si scopre certo oggi. Sul perché smetta di farlo e piombi in inspiegabili “blackout” - per dirla usando il termine del suo allenatore - sarà invece Inzaghi a dover indagare. Senza la testa al posto giusto, gambe e schemi non girano mai.
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Pubblicato il 20/09 alle ore 10:00