Salas si racconta: "La mia Lazio, quello Scudetto, Sinisa e l'addio. Vi dico tutto"

Dopo l'estratto pubblicato nella giornata di ieri, sui canali ufficiali della Lazio è stata pubblicata l'intervista esclusiva a Marcelo Salas. Ecco le sue parole:
"È sempre un piacere tornare a Roma, stare qui a Formello. Ho tanti ricordi. Ringrazio tutti voi per quest'opportunità, sono molto contento anche per godermi di nuovo la città".
"Supercoppa Europea? Il merito è stato di tutta la squadra, non solamente il mio. Quella sera ero arrabbiato perché ero in panchina. Purtroppo Simone (Inzaghi, ndr) ha avuto un infortunio e ho avuto l'opportunità di entrare, fare il gol e vincere questa coppa che qui a Roma non c'era. Sono felice che la gente ricordi ancora quel trofeo".
"Idolo dei laziali per lo stile di gioco? Sembra che ho lasciato qualcosa d'importante nei ricordi della gente. So che non ero solamente un attaccante, potevo andare ancora indietro, inventare una giocata, fare un assist. Era molto facile per me, ho iniziato la mia carriera giocando da centrocampista. Volevo essere Maradona come tutti i bambini sudamericani. Giocavo con la 10 sulle spalle, non era un problema andare un po' indietro".
"Perché la Lazio non ha vinto più di uno scudetto? Il primo che abbiamo perso è stato quello del 1998-99, avevamo 6-7 punti di vantaggio rispetto al Milan. Non so cosa sia successo, alla fine il Milan ci ha praticamente tolto lo scudetto dalle mani. Ricordo che ci eravamo detti che l'anno prossimo l'avremmo vinto per forza, e fortunatamente così è stato. Nello spogliatoio con Almeyda, Simeone, il mister, Couto. Eravano tutti ad ascoltare la radio aspettando la fine della partita a Perugia. Una volta che è finita, siamo andati tutti in campo con i tifosi. È stato meraviglioso, lo stadio pieno, la gente in campo. Ricordi straordinari!".
"Segreto di quella Lazio? Io ero uno dei più giovani e sono sempre stato abituato ad ascoltare i più grandi, per me non era un problema mettere da parte un certo 'protagonismo'. Abbiamo avuto tanti confronti all'interno dello spogliatoio con i più grandi, ma rimanevano sempre dentro lo spogliatoio, in campo eravamo tutti insieme, uniti".
"Eriksson e Mihajlovic? Purtroppo ci hanno lasciato troppo presto. Eriksson è stato un grande allenatore per me. Aveva una capacità impressionante di gestire la squadra, con tutti questi campioni. Il suo modo di allenare ci ha fatto vincere quello che abbiamo vinto, non è stato solo merito dei giocatori. Sinisa mi ha aiutato tanto quando sono arrivato, siamo diventati tanto amici. Sinisa mi ha lasciato qualcosa in più, un guerriero.. lo è stato fino agli ultimi giorni. Ha fatto tutto quello che poteva fare per la nostra maglia, sarà sempre nel mio cuore".
"Ti sei mai pentito di aver lasciato la Lazio? I migliori anni li ho vissuti qui. Sarei voluto tornare un paio di anni a Roma. Però il momento in cui sono andato via era il momento giusto per andare: avevo un paio di problemi con Sven in quel momento, c'erano tanti attaccanti che lui voleva. Avevo la possibilità di andare in una grande squadra come la Juventus. Ci ho pensato tanto, ho parlato tanto con Simeone, con Vieri. Lui mi ha detto 'Vai, nella Juve quando tocchi un muro diventa oro'. Ho preso la decisione di andare però mi aspettavo di tornare, purtroppo poi per problemi familiari miei ho scelto di tornare in Argentina. Mi sono pentito di non essere tornato un paio di anni alla Lazio".
"Il ricordo più bello? Lo scudetto, senza dubbio. Dopo 25 anni che non si vinceva. Per me è stata un'emozione enorme, come per tutti i laziali veri. Il momento più importante è stato quello lì".
Pubblicato il 29/03