LE MAGLIE DELLA STORIA - Risse, pistole e follia: una banda diventata immortale
Qualcosa di molto simile a un romanzo. Qualcosa che ti lascia incollato alla poltrona, perché intuisci che alla pagina successiva tutto può ribaltarsi. Qualcosa che ti emoziona e ti suscita sentimenti forti. Lanci col paracadute, duri scontri interni, attivismo politico, pistole. Ma anche grandi imprese e brusche cadute, giorni esaltanti seguiti da drammi ancora oggi inspiegabili. Vittorie epiche e morti tragiche. Tutto questo condisce quella che può essere definita una banda più che una squadra. Lo scrittore non può che essere un uomo che ha nel buon senso e nell’intelligenza le sue migliori qualità, oltre a uno spiccato senso tattico, e che ha saputo trasformare un’entità eterogenea e contrastante nei suoi elementi in un complesso perfetto. L’uomo della provvidenza è Tommaso Maestrelli. Un tecnico moderno, che sul modello olandese del calcio totale ha anticipato l’evoluzione tattica avvenuta nel calcio italiano, che prevedeva la mobilità di tutta la squadra senza lasciare punti di riferimento. Più che un allenatore, Maestrelli era uno psicologo. Tenere in piedi un gruppo così diviso al suo interno e renderlo una corazzata compatta di uomini pronti a qualunque cosa per il compagno è stato il suo grande capolavoro. Le partite di allenamento erano più sentite di quelle di campionato, si rivaleggiavano i due clan, costretti addirittura a spogliarsi in spogliatoi diversi e capeggiati da Chinaglia e Wilson da una parte e Re Cecconi e Martini dall’altra. Maestrelli li faceva sfogare, costretto spesso a terminare la seduta prima del tempo quando gli animi si esasperavano. L’ex mister del Foggia era solito invitare a cena i giocatori che avessero qualche problema. Fu così che il più cocciuto e viziato, e di conseguenza il più invitato del gruppo, quel Long John visceralmente amato dalla gente laziale, divenne una sorta di figlio per il mister pisano. Spicca fra le intuizioni dell’allenatore, quella di Lazio-Verona. Una Lazio in lieve flessione col fiato sul collo della Juve, gioca il primo tempo più brutto della stagione e al termine dei 45 minuti è sotto per 2-1. Il gruppo è una polveriera pronta ad esplodere con Chinaglia e Nanni vicini a venire alle mani già nel sottopassaggio. I giocatori tuttavia trovano davanti alla porta dello spogliatoio il loro mister, che li rimanda in campo immediatamente. Il pubblico inizialmente stupito dalla cosa inizia subito dopo a caricare la squadra con Chinaglia che prende a calci il pallone per sfogare la rabbia. Al ritorno in campo del Verona l’Olimpico è una bolgia e la Lazio una reattore di adrenalina incontrastabile. La partita finisce 4-2. Tanto divisi fuori dal campo quanto uniti e compatti all’interno del rettangolo verde. Per informazioni chiedere agli inglesi dell’Ipswich Town o ai tifosi della Roma, che prima di un derby hanno cercato di intimorire la squadra, costretti poi alla fuga dagli spari dei ragazzi del ’74. Il padre di questa creatura folle era il presidente Umberto Lenzini.
La maglia da gioco quell’anno è frutto di una collaborazione tra Tuttosport e l’Ennerre. Il colore ovviamente è il celeste. Collo a V e polsini a tinta unica con una riga bianca al loro interno. I numeri sono bianchi in materiale semipelle cuciti a macchina. La partita per eccellenza con quella divisa è sicuramente quel Lazio Foggia del 12 maggio del 1974, giorno del trionfo. La Lazio, dopo una cavalcata inarrestabile, arriva alla penultima di campionato con 3 punti di vantaggio sulla Juve, che l’anno precedente aveva scippato il tricolore proprio ai neopromossi biancocelesti sconfitti nella fatal Napoli. Il giorno del 12 maggio è il delirio della gente laziale che non ce la fa ad attendere l’inizio della gara in programma alle 16 e già dalla mattina alle 6 si riversa allo stadio Olimpico, per quello che è il vero appuntamento con la storia (i cancelli verranno aperti alle 8,45). Richieste di biglietti persino dal Canada, dall’Australia e dal Brasile e record ancora imbattuto di spettatori, circa 78 mila. Ad assistere all’incontro che può portare al secondo scudetto della città di Roma anche il Presidente della Repubblica Leone. Dopo il consueto giro d’onore del presidente Lenzini all’ingresso in campo dei giocatori il colpo d’occhio è splendido, migliaia di bandiere e un’esplosione di amore ed entusiasmo. La partita è complicata, il Foggia ha bisogno di almeno un punto per restare in serie A e la Lazio sembra sentire troppo l’evento, così nei primi 45 minuti non succede niente. All’inizio della ripresa s’infortuna Martini che si rompe la clavicola. Al minuto 58 la svolta. Garlaschelli crossa dalla sinistra e Scorsa devia la palla con la mano. Sul dischetto si presenta ovviamente Long John ma i suoi piedi sono quelli di una città intera. Rigore che trascura ogni gusto balistico, ma la palla entra in rete. Chinaglia corre verso il centrocampo, gli altri giocatori si muovono come schegge impazzite e lo stadio diventa un vero inferno. Poco dopo l’espulsione per fallo di reazione di Garlaschelli complica le cose e la Lazio soffre fino alla fine il ritorno del Foggia. Alle 17,45 l’arbitro Panzino emette il triplice fischio e il verdetto definitivo del campionato: la Lazio è campione d’Italia. Maestrelli si siede con le mani nei capelli, subito dopo abbracciato da Lovati. Segue l’invasione di campo dei tifosi che sommergono i loro beniamini. Per la città è festa grande fino a notte inoltrata. Il delirio di una città, il giusto prologo della follia di un gruppo reso immortale dalla saggezza del suo ‘Maestro’.